“Youngs at Summer Sun” – Le strade del Signore sono infinite, quelle degli Umani lo sono molto meno!



E’ nei momenti di relax, di riposo, a volte di solitudine che ci accade di rivolgere i nostri pensieri a qualche frammento di immagini del nostro passato, a quelle luci e sensazioni che per qualche bizzarro e inspiegabile motivo riescono a racchiudere in un battito di ciglia tutta la densità del profondo significato di un preciso momento della nostra vita.

Ed è accaduto ancora proprio qualche giorno fa, sovrastato dalla bellezza e dalla serenità di uno dei luoghi che più amo al mondo, mentre osservavo l’orizzonte e gli ultimi raggi del sole calare sulle ombre dei ragazzi che si divertivano spensierati in mezzo alle onde di un mare molto agitato ma in qualche modo rassicurante, attraversato da correnti forti e schiaffeggiato da un vento che profumava di libertà. Si, il vento! Mi hanno sempre affascinato i luoghi ventosi e, mentre per molti il vento è fonte di irritazione, di fastidio e di insopportabile sofferenza, per me quella forza della natura ha sempre giocato una attrazione magica, energetica, rigenerante al punto che ho sempre sentito che il mio corpo, attraversato da quelle correnti, fosse in grado di acquisire leggerezza, impulso e diventasse in grado di volare.

Sono così tornati alle mente precisi momenti della vita, viaggi in paesi lontani in un tempo dove tutto è possibile e davanti a noi si apre l’infinito scenario delle possibilità e delle opportunità. Momenti legati alla propria giovinezza e se vogliamo a quelle fasi di esplorazione di Se che preludono alle scelte importanti della propria vita: chi siamo, cosa vogliamo essere e come vogliamo esprimere noi stessi nel mondo.

E’ stata questa foto che vedete qui sopra ad ispirare qualcosa di più ampio, riacceso dal ricordo di questi momenti passati ma anche legato indissolubilmente al presente e al futuro, mio come di tutti coloro, giovani e meno giovani, che decidono di intraprendere un percorso autentico e intenso di ricerca e comprensione delle proprie capacità, di impiego delle stesse e di impegno alla autodeterminazione nel mondo del lavoro e nella vita privata e affettiva. Si tratta di un discorso che apre infiniti dibattiti e scenari. Qui proverò solo a tracciare qualche elemento di confronto sul significato di formazione, di orientamento, di crescita personale, di miglioramento, di talento e di passione concludendo con qualche spunto (spero) interessante sugli impatti a livello individuale dei modelli emergenti del mercato del lavoro.

Partiamo dall’inizio, ovvero proprio dalla fatidica ma ineludibile contraddizione appunto tra “Infinito” (essere ogni cosa) e “Finito” o meglio direi “Definito”.

L’età della spensieratezza si accompagna proprio a quella sensazione di estrema libertà, di affinità con tutto e il contrario di tutto, ogni cosa sembra essere raggiungibile e a portata di mano. L’infinita scelta dei possibili percorsi di vita rende alcuni momenti vibranti di gioia, di sicurezza, disseminati quasi da un inebriante senso di onnipotenza. Qualcuno, gli “Illuminati”, iniziano presto a capire che le cose non stanno esattamente in questa maniera. Per dirla tutta prima si comprende questa grande verità e prima si inizia davvero a crescere e a conoscere chi si è veramente.

E’ lo scontro/confronto di tutta una vita con il concetto di Limite, concetto della cui esistenza la nostra società contemporanea a volte sembra dimenticarsi riproducendo appunto all’infinito i momenti di ridefinizione di Se stessi, della propria identità, dei propri valori o più semplicemente cercando di rendere possibili goffi tentativi di “lifting della propria anima”.

Molti i poeti che, con eleganza, sono stati in grado di raccontare le insidie nascoste tra le pieghe del caleidoscopico ventaglio delle possibilità:

“Mentre ricordiamo l’Impossibile rendiamo impossibile il Possibile” – Konstantinos Kafavis (1863 – 1933).

Perché è cosi importante tenere a mente i concetti di Infinito, Definito e Limite nella formazione, nell’orientamento e in attività che vanno a toccare l’intimità del proprio Essere come il coaching, il mentoring e il counseling?

La ragione per cui questi concetti sono di una rilevanza cruciale, risiede nel fatto che fungono da strumenti di parametrizzazione e misurazione nella definizione della Forma di ciascun individuo, Forma qui intesa come quelle caratteristiche personali di valori, principi, idee, sensibilità, talenti, capacità, competenze. L’ordine con cui questi livelli neurologici sono stati elencati non è casuale e procedono da piani più profondi e strutturati verso piani più periferici ed entro certi limiti maggiormente superficiali e modificabili.

Le discipline Psicologiche e l’ambito allargato della Formazione sono da tempo informate sul fatto che, mentre è possibile e realistico intervenire a modificare, migliorare e liberare i livelli neurologici più periferici, ad esempio ridefinendo le competenze conoscitive (hard skills) e in una certa misura le capacità (soft skills), è missione ardua progettare cambiamenti a livello dei valori, dei principi o delle specifiche sensibilità. Per scendere sul pratico, seguire un corso di lingua inglese, di tecnica di lavorazione dei metalli o di ingegneria delle costruzioni di norma consente di migliorare la propria conoscenza della materia specifica oggetto dell’intervento (hard skills); frequentare un training di “Teamwork”, “Critical Thinking”, “Positive Attitude”, “Communication Skills” o “Leadership” può provocare sensibili miglioramenti individuali ma può anche rivelarsi del tutto inutile (soft skills). Perché?

Perché le nostre capacità “soft” (quasi tutte) affondano profondamente le loro radici presso quei livelli neurologici superiori che sono parte costitutiva della nostra personalità.

Anche qui per scendere sul pratico, imparare a lavorare in gruppo (Teamwork) può essere cosa semplice e facilmente appresa da individui che di natura hanno personalità aperte al confronto, comunicative, empatiche ma può rivelarsi impossibile per soggetti che, al contrario, sono incapaci di percepire gli altri, tendono a badare solo a sé stessi o più banalmente sono estremamente competitivi. Le ragioni profonde di queste caratteristiche non sono modificabili con alcun corso/training perché si tratta di comportamenti che derivano da una visione del mondo ben costituita, frutto della propria sensibilità, cultura, percezione del proprio ruolo nella società, esperienze.

Si tratta di Valori, Principi, Concezioni del mondo che definiscono la nostra Identità e che consentono a chi ci osserva da fuori di riconoscere che Alessandro è diverso da Paolo che è differente da Emanuela e Caterina e sono la manifestazione della spinosa verità che ogni soggetto percepisce la realtà dentro e fuori di lui in maniera assolutamente personale e che questa visione condiziona i comportamenti quotidiani, anche e soprattutto quelli sul posto di lavoro (ma non solo ovviamente).

Il mercato del lavoro da anni sta vivendo una “tempesta perfetta”, assediato da un lato da una crisi che ha progressivamente richiesto continue riorganizzazioni e operazioni di ricorrente e pervicace riduzione dei costi, dall’altro sta cominciando a sperimentare l’impatto delle nuove tecnologie (quelle più rilevanti si chiamano intelligenza artificiale, robotica/automazione, big data, machine learning) che come effetti collaterali portano con se una rapidissima obsolescenza delle competenze e nei casi più pesanti, il quasi completo affrancamento dal “fattore umano” con conseguente perdita di posti di lavoro.

Giusto e necessario quindi ripensare al lavoro e al suo significato più profondo nella nuova società in via di definizione. Ma come farlo?

Ritengo che gli spunti che seguono, sono i temi più scottanti che ciascuno di noi è chiamato ad affrontare, possibilmente sapendo come reperire le proprie soluzioni.

Lo sviluppo delle proprie competenze ed abilità diventa prerogativa dell’individuo

Molti lavoratori hanno sin dagli inizi vissuto in un mondo dove, terminato il proprio ciclo di studi qualunque esso fosse, si veniva catapultati in aziende dove la formazione pratica e lo sviluppo della propria carriera erano disegnati secondo piani molto precisi e strutturati, con periodici momenti di aggiornamento e gradini più o meno regolari di crescita. Anche laddove non si trattasse di queste grandi Scuole di management e di indirizzo di carriera (pensiamo all’influenza sulla popolazione lavorativa che hanno avuto aziende come IBM, Xerox, Accenture, KPMG, Unilever, Microsoft, ENI, McKinsey) comunque buona parte della configurazione iniziale della propria dotazione di conoscenze, competenze ed abilità era specifico oggetto delle direzioni risorse umane delle aziende stesse. Questo modello formativo, rispondeva ad una esigenza di tipo strettamente funzionale, ovvero il sapere che veniva trasmesso serviva a dotare i collaboratori di quel bagaglio indispensabile a ricoprire il ruolo specifico che si era chiamati a ricoprire. Oggi, pur essendo in parte rimasto integro un approccio così configurato soprattutto all’interno di alcune grandi aziende internazionali, possiamo con ragionevole certezza affermare che la formazione interna sia morta e che, a maggior ragione, sia scomparso quel modello specifico.

Con un movimento rapido e quasi impercettibile, in un solo colpo sono caduti due dei pilastri di sostegno alla crescita e alla stabilità del lavoratore:

  • Il sistema di Welfare statale (pensione, sgravi fiscali, incentivi al consumo, sanità)
  • Formazione professionale continua (a cura dell’azienda)

Per il primo, il ben visibile passo indietro dello Stato ha visto il progressivo ingresso degli operatori privati nell’offerta di servizi e prestazioni alternative indirizzate proprio alle stesse aziende che, di fatto, sono entrate a sostituire il ruolo del pubblico nella creazione di soluzioni sostitutive di welfare.

Per il secondo pilastro invece, sia il pubblico che le aziende, come dicevamo, hanno operato a volte drammatici passi indietro, delegando al mercato privato la fornitura di servizi formativi in questo caso direttamente al singolo individuo. Il singolo quindi è divenuto, che lo desiderasse o meno, il principale cliente di questi attori in un clima che ha progressivamente delegato proprio all’individuo la responsabilità globale della scelta dei percorsi di formazione, di quelli di aggiornamento professionale, la definizione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità e scelte complesse come quelle relative al disegno dei propri obiettivi di carriera in una rinnovata ottica di “empowerment” del singolo e di autonomia nella individuazione dei propri talenti. Il modello funzionale cessa quindi di esistere e al suo posto, in realtà, non viene istituito alcun tipo di programma o progetto specifico alternativo di formazione o carriera all’interno delle organizzazioni. Intendiamoci, si tratta di un passo necessario e fondamentale nella creazione di un nuovo mondo del lavoro basato sulla meritocrazia e dove ciascun individuo possa apportare valore attraverso lo sviluppo delle proprie più genuine capacità e talenti. Questo percorso è però da tempo stato avviato senza pensare minimamente a dotare il singolo delle abilità utili a compiere queste scelte complesse e, in sostanza, si è tradotto nella germinazione senza controllo di un’offerta formativa a volte senza indirizzo preciso, di dubbia utilità, di scarsa qualità. Assieme alla Formazione potremo dire infatti che è scomparso anche un altro pilastro fondamentale: l’Orientamento.

Il singolo, reso mirabilmente autonomo nella definizione del proprio percorso di carriera senza sapere ne in cosa è capace ne “perché fa quello che fa”, è stato dato in pasto al miglior offerente che, come prevedibile, promette Successo, Denaro, Felicità per tutti.

La discontinuità venutasi a creare come naturale conseguenza di un mercato del lavoro così turbolento, ha ulteriormente giustificato percorsi di carriera tortuosi, la necessità di una manutenzione costante e continua delle proprie competenze e, in alcuni casi più traumatici, la pianificazione di percorsi più invasivi di ridisegno globale delle proprie abilità (Re-Skilling), spesso in parallelo alla perdita del proprio ruolo anche in età avanzata. Tanto è che tra le nuove soft skill molto ricercate, ha iniziato a fare capolino la cosiddetta “Learnability”, ovvero la capacità di essere pronti, predisposti e adatti ad apprendere continuamente cose nuove in qualsiasi momento del proprio percorso di carriera.

L’individuo lasciato solo è davvero capace di rispondere a queste sfide? Quali sono i limiti di questa apparente nuova età dell’oro del mondo del lavoro?

La necessità di potenziare la propria capacità di Insight

Una possibile risposta ad alcuni degli interrogativi sopra esposti, può arrivare da percorsi ed esperienze formative che abbiamo ad oggetto non tanto conoscenze specifiche, tecniche, manageriali quanto l’apprendimento del funzionamento più intimo di noi stessi. Non si può guidare appropriatamente la macchina se prima non la si conosce a fondo; prima di procedere a qualsiasi scelta sia in termini di itinerari di studio che di aggiornamento professionale, sarebbe sempre molto utile sapere che si tratta di scelte “ecologiche” con i nostri valori, con i nostri principi e con i nostri talenti. In una parola, gli anglosassoni chiamano questa capacità “Insight”, ovvero il sapersi guardare dentro, il capire cosa fa per noi (e non cosa vogliono gli altri da noi), il sapere di conseguenza compiere scelte che vanno autenticamente nella direzione di permettere la crescita e lo sviluppo delle nostre più autentiche inclinazioni.

Benchè l’investimento per acquisire questa preziosissima conoscenza, l’antico oracolo delfico “Conosci te stesso”, sia impegnativo e la ricerca di un abile mentore resa complessa da un mercato dell’offerta piuttosto deregolamentato e caotico, il gioco vale spesso la candela se si ha la fortuna di incrociare dei bravi professionisti.

Strumenti di valutazione delle proprie abilità e competenze come dei propri punti deboli, esistono da tempo (Assessment) e si tratta oramai nella maggioranza dei casi, di strumenti precisi ed altamente predittivi proprio perché costruiti a partire dalla raccolta sistematica di centinaia di migliaia di questionari che costituiscono, senza alcun dubbio, una consolidata e significativa base statistica di dati.

Il potere beneficiare di una mappa delle proprie aree di competenze (ed incompetenza), attiva una possibile risposta a quel nostro dilemma iniziale di identificazione del confine tra “Infinito” e “Definito” senza generare il timore di mancare di qualche cosa, giacchè imparare a tracciare un confine o un limite non significa essere menomato, casomai rappresenta il punto di arrivo della certezza di un proprio talento.

La maggioranza degli studiosi concorda nell’attribuire alla sentenza espressa da Apollo nell’oracolo di Delfi, il significato di un avvertimento indirizzato al genere umano a “riconoscere la propria limitatezza e finitezza”.

Solo quindi “le vie del Signore (e degli dei) sono infinite”…perché quelle degli umani lo sono molto meno.

Bibliografia di riferimento

  • “I livelli di pensiero” – Robert B Dilts (2003)
  • “Come vento, Come onda. Dalla finestra di uno psicanalista – Stefano Bolognini (2008)
  • “Note di poetica e di morale e altre prose” – Konstantions Kafavis, traduzione a cura di Maurizio De Rosa (2013)

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