Avevamo davvero bisogno dell’ennesimo post sulla importanza del Cambiamento e delle vicende umane associate alle inevitabili difficoltà di questo periglioso percorso? Effettivamente il termine “Cambiamento” nel mondo del business come in quello della vita privata e personale, è tra i più abusati e affolla con disinvoltura quasi ogni media digitale e non del vastissimo ed esteso panorama disponibile in rete come negli scaffali delle librerie e biblioteche. La ragione risiede ovviamente nel fatto che l’ansia generata dall’apertura verso l’ignoto e l’incertezza che ogni processo di cambiamento sottintende, spinge l’animo umano a tentare di attivare una qualsivoglia strategia di controllo per evitare derive e uscite di strada non previste. Ed è assolutamente sensato lo sforzo teso all’elaborazione di strategie o tecniche di gestione del cambiamento, proprio perché si tratta di processi complessi, mutevoli, predominati di solito dal manifestarsi di numerose variabili interdipendenti tra loro, che agiscono secondo logiche e fini di rado armonizzati e nel corso dei quali una di queste variabili gioca ancora oggi nell’era della “Tecne” un ruolo chiave: l’essere umano.
Il contenuto di questo post è in gran parte il risultato di una piacevole chiacchierata tra amici, davanti ad un bicchiere di vino (che speriamo non abbia annebbiato la coscienza!), amici impegnati a vario titolo con le proprie famiglie, sul lavoro e nelle proprie comunità sociali. Si parla qui di cambiamento e nello specifico del cambiamento sollecitato da interventi di natura terapeutica sul comportamento di individui che riconoscono la necessità di intervenire su loro stessi, sulle loro azioni quotidiane, sulle loro paure, su tutti quei pensieri e quei “corto circuiti” che rendono la loro vita difficile, complicata, piena di sofferenze. Quale metodo quindi adottare per essere davvero capaci di gestire e progredire lungo un percorso di cambiamento personale/comportamentale? E poi, le tecniche di gestione del cambiamento organizzativo richiedono strategie e tecniche molto diverse, di fatto essendo sempre azioni ed interventi che agiscono sull’elemento umano?
La mia personale considerazione su questo tema è “cambiata” radicalmente lungo il mio percorso professionale, non a causa certo della chiacchierata tra amici ma anzi, per mezzo di questa, ha conosciuto un ulteriore consolidamento e rafforzamento proprio osservando e ripercorrendo il mio passato aziendale di attore numerose volte impegnato in progetti di “Change Management” e di introduzione dell’innovazione.
Perché la maggior parte dei progetti di “Change Management” non decolla e non porta i risultati attesi o sperati? Quali sono gli elementi strategici da tenere sotto controllo per garantirsi davvero una soddisfacente riuscita nei tempi che ci si è prefissati? Non aspettatevi che sia io ad elencarvi le “10 regole d’oro per avere successo nei progetti di cambiamento organizzativo”!!! Il vero problema sono proprio quelle 10 regole!
Se come è vero, i cambiamenti organizzativi riguardano (ancora per molto direi!) fondamentalmente gli esseri umani, da questi dobbiamo partire e non possiamo prescindere dalla necessaria profonda conoscenza di tutta la materia interiore che riguarda le emozioni, la motivazione, i fini ed il significato e infine l’azione/comportamento. E’ pura teoria affermare 10 regole d’oro per gestire un cambiamento come è da sempre pura teoria (inefficace) tentare di insegnare agli esseri umani regole, comportamenti, obiettivi che risultano sganciati da sistemi di Valori congruenti con i comportamenti richiesti. Quanto risulta stabile un cambiamento comportamentale mandato giù “a memoria” solo perché ci viene richiesto? Quanto siamo disposti a faticare e lavorare per raggiungere obiettivi che mancano di congruenza con il nostro sistema profondo di valori e di credo personali?
Un aiuto a questo dilemma, o perlomeno un aiuto a spiegare quali siano le reali difficoltà e ostacoli che si incontrano lungo il sentiero del cambiamento, è rappresentato dal fondamentale e interessantissimo contributo di Robert Dilts e del suo modello chiamato dei “Livelli Logici” (o neurologici). Di cosa si tratta? Pur trattandosi di uno studio datato (inizi anni ’80), legato profondamente alla disciplina della programmazione neurolinguistica (PNL), possiamo considerarlo un significativo modello di rappresentazione del funzionamento del nostro sistema di pensiero, descritto come un apparato gerarchico e progressivo composto da 6 livelli logici, ciascuno collegato al livello direttamente superiore e in cui tutti i livelli sono dipendenti da un nucleo centrale di ordine superiore: Mission o, come veniva definito dagli antichi greci “daimòn”, il nostro principio primo che definisce chi vogliamo essere e cosa sentiamo appartenere al nostro modo di essere e di partecipare alla vita di questo mondo. E’ evidente che in questo nucleo sono racchiuse le nostre più intime aspirazioni ma anche le nostre emozioni legate agli eventi e alle esperienze della nostra vita passata che, semmai ci fosse qualche dubbio, influenzano in maniera rilevante ogni nostro comportamento quotidiano dalla scelta dei calzini al mattino prima di andare al lavoro sino alle modalità con le quali abbiamo selezionato il nostro partner, pianifichiamo le nostre vacanze o sentiamo di avventurarci in investimenti e attività rischiose. Tutto il nostro modello di comportamento è inevitabilmente legato a ciò che più profondamente ci definisce come esseri umani, come persone, con il nostro “Carattere”, le nostre manie, le nostre verità e le nostre incertezze.
Sin qui, si dirà, nulla di drammaticamente nuovo. Ma la vera intuizione di Robert Dilts sta non tanto nell’aver teorizzato un sistema gerarchico che ordina le priorità di identificazione psicologica in un sistema (molto simile a quello immaginato da Abrahm Maslow), quanto quella di chiarire che qualsiasi modifica o cambiamento anche ai livelli logici inferiori, ad esempio nel Comportamento, siano possibili e stabili solo ed unicamente a fronte di un reale cambiamento anche nei livelli logici direttamente superiori. Vale a dire che l’adozione in via continuativa di un nuovo modello di comportamento da parte di un essere umano è davvero realizzabile solo a fronte di una adesione ad esempio ad una rinnovata Convinzione, o a maggior ragione in relazione ad un importante intervento modificativo nel sistema dei propri Valori (figura in allegato – I Livelli Logici di Robert Dilts).
Al fine di meglio comprendere la portata e il funzionamento del modello in pratica, è possibile identificare il significato dei diversi livelli ponendosi alcune domande e fornendone ovviamente le adeguate dettagliate risposte, ad esempio:
- AMBIENTE: Dove? Quando?
Ad esempio dove svolgiamo una certa attività? In quale contesto temporale?
- COMPORTAMENTO: Che Cosa?
Esattamente quali azioni mettiamo in atto mentre facciamo questa attività?
- CAPACITA’: Come?
Secondo quali modalità e usando quali capacità compiamo queste azioni?
- VALORI e CREDENZE: Perché?
Quali sono le ragioni che mi spingono a comportarmi in un certo modo? In cosa credo che mi motiva nell’agire così?
I VALORI sono “ciò che riteniamo essere IMPORTANTE per noi”; le CREDENZE (o CONVINZIONI) sono “ciò che riteniamo essere VERO”.
- IDENTITA’: Chi?
Chi sono e chi diventerò agendo in questa maniera?
E’ il senso di identità personale o “aziendale”: chi crediamo di essere, le nostre credenze su noi stessi, i nostri pensieri, le nostre sensazioni
- SPIRITUALITA’ (o MISSION): per chi e per che cosa?
Che senso ha la mia vita? (significato profondo) Per quale motivo sto al mondo?
L’applicazione pratica di questo modello, aiuta concretamente alla “costruzione” di una migliore consapevolezza partendo da ciò che realmente rappresenta la nostra identità, aiutandoci quindi a compiere tutte quelle scelte e quelle azioni che saranno “allineate” ai nostri Credo più profondi. Nella pratica del coaching questa tecnica viene spesso utilizzata, proprio per aiutare l’interlocutore ad indagare, scoprire e riallineare tutti i livelli logici e supportarlo nel compiere quelle decisioni e quelle attività concrete (comportamenti) che gli consentiranno di riacquisire sicurezza, serenità e benessere.
Tutti noi, prima o poi nella nostra vita, ci siamo ritrovati la prima settimana dell’anno nuovo a scrivere “con il sangue” i nostri bei propositi di cambiamento, sforzandoci di portare a termine una dieta, andare finalmente in palestra almeno due volte alla settimana, oppure decidere di smettere di fumare per sempre, propositi ben presto disattesi, diremo noi per pigrizia o mancanza di volontà. Eppure l’impeto iniziale era ben presente! Cosa ci ha quindi riportato allo stato di inattività/situazione iniziale? In alcuni casi, la nostra voglia di cambiare e di farcela è tanto forte che saremo anche in grado di ingannare i nostri amici a riguardo, ad esempio, del fatto di evitare atteggiamenti che irritano piuttosto che di deludere la fiducia dei nostri colleghi con comportamenti scorretti o aggressivi. Quanto è possibile quindi modellare o modificare i nostri comportamenti semplicemente con la volontà? E quando possiamo parlare di “Cambiamento Reale”?
Il tema della autenticità del cambiamento è stato l’oggetto di studio di Paul Waztlawick, noto psicologo e filosofo austriaco appartenente alla Scuola di Palo Alto, tema che affronta in maniera pragmatica e metodica in uno dei suoi testi principali, “Change – Sulla formazione e la soluzione dei problemi” (1974). E’ sua la teoria dell’esistenza di un doppio livello di cambiamento: il cambiamento #1, o cambiamento fittizio, un cambiamento per dirla nei termini di Robert Dilts, che tocca e si risolve ai livelli logici inferiori (Ambiente, Comportamento, Capacità) e un cambiamento #2, il cambiamento reale che ha origine e scaturisce dai livelli logici superiori (Valori, Identità, Mission). Ecco quindi spiegata per la prima volta l’inconsistenza e l’insuccesso di cambiamenti (e di terapie ad esempio) indotti da pratiche che volgono ad una modifica puramente formale, estetica, inautentica del proprio comportamento, ad esempio richiedendo sforzi di tipo normativo, di volontà, di sacrificio. Proprio questa importante rivelazione pone le basi della modellizzazione di strategie di cambiamento personale focalizzate sull’intervento immediato, rapido e veloce sulla sfera motivazionale degli individui che, di norma, ritornavano a compiere le medesime azioni non desiderate esattamente con la stessa dinamica di movimento di uno jojò.
Abbiamo sin qui parlato di cambiamenti personali/individuali ma possiamo osservare simili complicazioni e dinamiche nel corso dei progetti di cambiamento organizzativo? La scoperta del modello di Dilts e i preziosi studi di Waztlavick mettono in chiara evidenza la natura complessa, sistemica e a volte imprevedibile del cambiamento a livello personale e, ad ogni evidenza, le organizzazioni essendo di norma composte da esseri umani e dalle relazioni tra loro esistenti, non possono sfuggire alle medesime leggi. Diremo però qui che, apparentemente, mentre gli studi e le tecniche di intervento di cambiamento personale possono fare annotare numerosi successi, mostrando consapevolezza della multiforme e mutevole natura umana, non parimenti si può dire dell’evoluzione delle tecniche di management organizzativo che, al contrario, sembrano sempre imperniate su regimi di adeguamento formale alle regole e ai comportamenti. Segnali positivi sembrano però arrivare da alcuni recenti studi effettuati da alcuni noti operatori del mercato del lavoro (“The Future Of Jobs” – World Economic Forum 2016), nei quali si colgono elementi nuovi e incoraggianti sul fronte di una maggiore attenzione ai talenti e soprattutto a quelle qualità definite “Soft” che afferiscono proprio alle sfere superiori del pensiero e del carattere degli esseri umani. Si tratta ancora di un primo passo, ancora teoria probabilmente ma pur sempre per la prima volta si sente parlare in maniera programmatica e strutturata della necessità di preparare le generazioni lavorative a confrontarsi con dimensioni quali “capacità di innovare”, “empatia”, “capacità collaborativa e fiducia”, “orientamento al gruppo”, “creatività”, “abilità nella risoluzione di problemi”. Per fare sì che queste non divengano parole vuote, per usare un termine oramai a noi noto – compiendo un cambiamento #1 – , sarà necessario dimostrare di potere davvero formare gli individui alla creazione di una sana autoconsapevolezza che li guidi nelle scelte e negli orientamenti di un mondo del lavoro che diventerà sempre più discontinuo e caotico. Ma si potrà farlo, ora lo sappiamo, solo intervenendo ad un livello logico completamente diverso da quello al quale sino ad oggi la formazione convenzionale in azienda e nella scuola si è rivolto, ovvero puntando l’attenzione su quelle caratteristiche del pensiero, dell’identità e della visione del mondo che definiscono l’individuo nella sua più intima profondità. Tali interventi neanche a dirlo, pongono seri interrogativi anche sulle abilità e capacità della prossima generazione di formatori e tutor (ma anche di manager) che, in teoria, dovrebbe diventare ben preparata a “maneggiare” con cura la porzione più fragile di ogni essere umano: la propria anima. Saranno quindi i coach, i counselor, gli psicologi o altri i Maestri del futuro? Non possiamo ancora dirlo anche se è certo che, pur in un mercato nazionale che sembra ancora non rispondere con entusiasmo all’ingresso di queste figure in azienda, nei paesi anglosassoni questi professionisti sono presenti da anni e affiancano molti leader nel loro percorso di crescita personale e professionale. Nell’attesa di questa rivoluzione (un cambiamento #2!), a molte organizzazioni non resterà che adottare il vecchio (ma molto comodo) strumento tradizionale del “cambiare le persone che non sanno cambiare”, ovvero licenziare o estromettere coloro che non dimostrano di adeguarsi velocemente ai nuovi dettami delle organizzazioni. Fra le altre cose, la “capacità di adattarsi ai cambiamenti” o “flessibilità”, come viene definita in gergo organizzativo, è balzata ovviamente a guidare le classifiche delle “soft skill” più gettonate, mettendo in evidenza quanta ancora poca consapevolezza il mondo del business abbia riguardo alle reali capacità e possibilità di cambiamento degli individui, soprattutto a ridosso di operazioni di riorganizzazione, fusione che prevedono modifiche a volte drammatiche del proprio ruolo, delle competenze e delle responsabilità.